Fontaine, un sostenitore della resistenza francese, viene catturato e condotto in una piccola cella dai nazisti. Non desidera altro che scappare, tenta in tutti i modi di progettare la sua fuga e si serve di piccoli oggetti che ha in cella per farlo: un cucchiaio, un lapis, una coperta e i fili di ferro del suo letto. Dopo una lunga serie di fallimenti tenterà di evadere con l'aiuto di un giovane prigioniero di nome Jost.
«Questa storia è vera. Ve la racconto così com' è, senza orpelli.»
Robert Bresson è l'autore per eccellenza, perché ha teorizzato e messo in pratica un'idea poetica e precisa del linguaggio cinematografico, idea che si è incarnata in quello che ha poi definito come "cinematografo", contrapponendolo al "cinema". Il cinematografo o cinématographe, come descrive nelle sue Note sul cinematografo scritte tra il 1950 e il 1975, è «una scrittura di immagini e di suoni in movimento» dove il film è «una combinazione di linee e volumi in movimento, al di fuori di quel che raffigura e significa», il cinematografo - che rievoca non casualmente la definizione originaria e primitiva dei fratelli Lumière - ha come obiettivo quello di indirizzare il medium della macchina da presa verso l'espressione del suo massimo potenziale. Lo deve fare attraverso i rapporti tra immagini e suoni, e non attraverso la mimica e i gesti degli attori che trasformano il cinema in una sorta di teatro filmato o libro illustrato. Bresson distingue due tipi di film: «quelli che usano i mezzi del cinema (attori, regia, ecc..) e si servono della macchina da presa per riprodurre, e quelli che usano i mezzi del cinematografo e si servono della macchina da presa per creare».
Negli anni '60 ha suscitato particolare interesse da parte di alcuni intellettuali e registi come Susan Sontag e Paul Schrader che basandosi sulla sua idea del cinematografo hanno decodificato uno stile "spirituale" o "trascendente": un cinema narrativo che si serve di «un'estetica della superficie» caratterizzata dal minimalismo della scenografia, dal ristretto spettro espressivo della recitazione degli attori e dall'ossessiva attenzione per i minimi particolari che circoscrivono il quotidiano dei personaggi, al fine di giungere ad una sorta di trasformazione della materia filmica restituendo allo spettatore un'esperienza trascendente, ovvero un' epifania emozionale. Secondo le teorie di Schrader per rappresentare il trascendente Bresson divide la sua materia filmica in tre momenti precisi: la quotidianità, la scissione e la stasi. Il film per raggiungere il suo scopo utilizza uno stile impersonale, classico e primitivo: inquadrature rigorose, una recitazione anti-teatrale e anti-naturalistica (Bresson definisce gli attori come "modelli" che devono eseguire le battute automaticamente, senza dare intonazione e significato a quello che dicono), un montaggio regolare dove ogni scena porta soltanto alla successiva e un'assenza prevalente di colonna sonora che è concessa soltanto in un momento significativo preciso. L'apparente assenza e povertà estetica della materia filmica serve a rafforzarne la fase della scissione e il momento della stasi. La forma dell'opera diviene sostanzialmente l'elemento attivo, mentre il contenuto - quello che si racconta - soltanto il mezzo.
Negli anni '60 ha suscitato particolare interesse da parte di alcuni intellettuali e registi come Susan Sontag e Paul Schrader che basandosi sulla sua idea del cinematografo hanno decodificato uno stile "spirituale" o "trascendente": un cinema narrativo che si serve di «un'estetica della superficie» caratterizzata dal minimalismo della scenografia, dal ristretto spettro espressivo della recitazione degli attori e dall'ossessiva attenzione per i minimi particolari che circoscrivono il quotidiano dei personaggi, al fine di giungere ad una sorta di trasformazione della materia filmica restituendo allo spettatore un'esperienza trascendente, ovvero un' epifania emozionale. Secondo le teorie di Schrader per rappresentare il trascendente Bresson divide la sua materia filmica in tre momenti precisi: la quotidianità, la scissione e la stasi. Il film per raggiungere il suo scopo utilizza uno stile impersonale, classico e primitivo: inquadrature rigorose, una recitazione anti-teatrale e anti-naturalistica (Bresson definisce gli attori come "modelli" che devono eseguire le battute automaticamente, senza dare intonazione e significato a quello che dicono), un montaggio regolare dove ogni scena porta soltanto alla successiva e un'assenza prevalente di colonna sonora che è concessa soltanto in un momento significativo preciso. L'apparente assenza e povertà estetica della materia filmica serve a rafforzarne la fase della scissione e il momento della stasi. La forma dell'opera diviene sostanzialmente l'elemento attivo, mentre il contenuto - quello che si racconta - soltanto il mezzo.
Un condannato a morte è fuggito rappresenta la massima di questa ricerca: Bresson ci immerge in una piccolissima cella con il suo protagonista che impiega quotidianamente tutte le sue energie per creare minuziosamente piccoli strumenti ed escamotage per fuggire, con lo svilupparsi degli eventi la storia di Fontaine acquisterà una lettura sempre più profonda perché saremmo toccati dalla forza della sua fede nel piano di fuga, malgrado i continui fallimenti. Sarà l'unico prigioniero che porterà la stessa camicia sporca e insanguinata per tutta la sua permanenza in prigione, perché non esiterà ad utilizzare gli abiti nuovi che gli vengono concessi per creare una fune, il suo comportamento sarà persino oggetto di incredulità e scherno da parte degli altri prigionieri che si rifiuteranno di aderire al suo inammissibile piano. Proprio quando l'ingegno di Fontaine non sarà più sufficiente per metterlo in pratica, nella sua cella arriverà un misterioso e giovanissimo prigioniero di nome Jost, Fontaine malgrado le sue enormi difficoltà a riporre fiducia ad uno sconosciuto, accetterà la sua collaborazione per mettere in pratica l'ultimo tentativo di fuga. Nel sorprendente finale capiremo che, senza l'aiuto di Jost, Fontaine da solo non avrebbe mai potuto oltrepassare la muraglia che circonda la prigione, perché troppo alta. La materia filmica, congeniata da Bresson, a questo punto provoca un effetto di scissione: dietro l'apparente "ironia della sorte" che ha fatto sì che Jost fosse nel posto e nel momento giusto, è come se si celasse e al contempo sollevasse una tensione spirituale che per lo spettatore diventa palpabile. L'avvenimento non può essere un caso, ma il disegno misterioso di una mano invisibile.
Il sottofondo del "Kyrie" della Grande Messa in Do minore di Mozart si innalza tra il sonoro del pianosequenza finale. Fontaine e Jost vagano liberi verso l'orizzonte muovendosi velocemente attraverso un'accelerazione artificiosa della pellicola che ne esalta la meccanicità dei corpi e improvvisamente il fumo di un treno in passaggio riempie il campo dell'immagine come una massa di nuvole maestose. È il momento della stasi, la rivelazione di una meccanica della "grazia", dove l'immagine filmica si spinge fino all'astrazione concludendo questo capolavoro cinematografico. «Lo stile trascendente è una forma che esprime qualcosa di più profondo di ciò che è visibile, cioè l'intima unità delle cose - lo spettatore non è obbligato a commuoversi, ma ad assorbire le emozioni in un ordine più ampio». (P. Schraider)
«Nei miei film mi piacerebbe far sentire allo spettatore la presenza dell'anima di un uomo, e anche al presenza di qualcosa di superiore all'uomo che possiamo chiamare Dio.»
Robert Bresson
prima di Ozu non saprei dire, visto che il maestro giapponese cominciò coi lungometraggi già fine anni '20. ad ogni modo prima o dopo poco importa e ci sono certo affinità di minimalismo e sensibilità tra i 2 grandi del Cinema.
RispondiEliminaquesto è veramente un capolavoro straordinario e ancor di più lo è il diario di un curato di campagna di qualche anno prima, Cinema di un livello tale che rende difficilissimo e impietoso un paragone col cinema attuale.
eh infatti hai ragione, non perchè ha cominciato a girare film prima di Bresson, ma proprio perchè "Tarda Primavera" che secondo Schraider, appunto, ha il trascendentale compiuto è già del '49. Comunque si poco importa, non è mica una gara!
RispondiEliminaIl tuo blog offre davvero degli spunti interessanti. Provvederò a vedere parte di questi film. Complimenti :)
RispondiEliminagrazie mille sara! E' un piacere!
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