Con l'infernale e poetico Saul Fia, il regista ungherese László Nemes ha certamente firmato un'opera coraggiosa e originale che aggiunge un contributo importante alla larga e spesso banale produzione di film dedicati all'Olocausto. Il regista è parecchio ossessionato dal tema perché, come racconta in un'intervista, quando era piccolo i suoi genitori gli rivelarono che parte della sua famiglia era di origine ebraica e fu deportata nei campi di sterminio. László afferma che da quel preciso momento è come se avesse sentito una «voragine oscura» aprirsi dentro di lui. Non ci meraviglia, quindi, che il suo primo cortometraggio Türelem è una sorta di tesi cinematografica su quelle che saranno le tematiche e le tecniche stilistiche sviluppate nel successivo Saul Fia. László è interessato al male e sceglie di rappresentarlo nel migliore dei modi: nella sua tremenda banalità. La sua logica, per quanto disumana è un prodotto pur sempre umano, lo spettatore si ritrova così ad affiancare il suo sguardo con oscuri protagonisti, come quello di un ebreo del Sonderkommando (Saul Fia) o di una giovane impiegata nazista (Türelem). La macchina da presa insegue parossisticamente i protagonisti nelle loro azioni quotidiane racchiusi in un primo piano in formato 4:3. L'ambiente circostante privato della profondità di campo, diventa un involucro di spettri umani quasi impenetrabile e insofferente, creando una tensione claustrofobica. Türelem è un interminabile pianosequenza della durata di 13 minuti e, per quasi la totalità del tempo, siamo partecipi della vita quotidiana di una comune impiegata d'ufficio: scrive lettere, esegue ordini, ripone oggetti nel suo armadietto e ogni tanto agita tra le mani una pietra preziosa, regalatale da un misterioso uomo nell'incipit del corto, presumibilmente il suo amante. Ma quando dei gemiti e lamenti spingeranno la protagonista ad alzarsi dalla sua postazione e ad affacciarsi alla finestra dell'ufficio, il punto di vista dello spettatore dovrà fare i conti con quello che la profondità di campo ci rivelerà. Lo sguardo della macchina da presa distaccandosi dalla sua protagonista fluttua spietatamente nell'ambiente esterno, testimoniando il dramma e l'orrore, mettendo in crisi qualsiasi processo di identificazione con la protagonista: che ora possa finalmente vedere il suo spasimante non ha più importanza, il male oppugna ogni logica morale e disarma lo spettatore. Un pugno sullo stomaco.
mercoledì 21 settembre 2016
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