Peter Watkins, regista inglese ancora troppo e ingiustamente impopolare, dotato di una peculiare intelligenza e originalità, fin dagli albori della sua attività ha ricercato e sperimentato un linguaggio cinematografico che si adattasse e potenziasse al meglio l'azionismo politico contenuto nei suoi film. Con lo sconvolgente The War Game, girato nel 1965, rappresentò quello che poteva accadere nel Regno Unito dopo un attacco nucleare da parte dell'Unione Sovietica, dimostrando scientificamente i devastanti effetti di una guerra di tali proporzioni sulla popolazione, riportando gli studi dei bombardamenti di Dresda, Darmstadt, Amburgo, Hiroshima e Nagasdaki e criticando aspramente il ruolo manipolatorio attuato dai media e dalle Istituzioni (la Chiesa Cattolica, la NATO e Lo Stato Inglese) che all'epoca appoggiavano e sollecitavano ciecamente i finanziamenti delle armi nucleari. Il film fu bandito dalla stessa BBC che lo produsse, per ben vent'anni fino al 1985. È noto per essere uno dei primi esempi di mockumentary, malgrado il boicottamento vinse un Oscar come migliore documentario e il Premio Speciale del Festival di Venezia del 1966.
Watkins negli anni della sua attività ha dedicato particolare interesse allo studio del ruolo dei Mass Audio Visual Media (i mass media audiovisivi) nella società contemporanea finendo per individuare e teorizzare il concetto di "monoforma", che definisce:
lo sviluppo di una forma-linguaggio televisiva formattata e ripetitiva, costituita di immagini montate rapidamente e frammentate, accompagnate da un denso bombardamento di suono, tutto tenuto insieme dalla struttura narrativa classica. Sebbene questa forma-linguaggio sia stata concepita originariamente da Hollywood, è stato inquietante scoprire il suo uso comune attraverso pressoché tutta la programmazione televisiva contemporanea, dalle soap-opera alle trasmissioni giornalistiche. Questa standardizzazione – e le logiche che le stanno dietro – è peggiorata nelle ultime decadi, e ora abbraccia virtualmente tutte le forme d’uso del cinema e della tv professionale, inclusa la tv-verità, le trasmissioni sportive, la maggior parte dei documentari, ecc. Per la sua estrema rapidità (specialmente la versione sviluppata negli ultimi 20 anni), la Monoforma non dà tempo all'interazione, alla riflessione o agli interrogativi. La densa stratificazione del suono e la mancanza di silenzio (eccetto per scopi manipolatori) sono ostili alla riflessione. Le immagini rapidamente montate sono come piccole carrozze ferroviarie, e i binari corrono sulla struttura narrativa monolineare così come originariamente sviluppata da Hollywood e tracciata per muovere la storia (il messaggio) su una linea predeterminata (dai produttori, non dal pubblico), salendo e scendendo tra punti d’impatto fino al climax finale e alla conclusione. Questa Monoforma è disegnata per intrappolare: per catturare e mantenere l’attenzione del pubblico su prolungati periodi di tempo. È organizzata per crear risposte predeterminate, il che significa che prima ancora che il pubblico veda qualsiasi film o programma tv della Monoforma, i produttori sanno già come il pubblico reagirà; o almeno questa è l’intenzione. Non è permessa alcuna reazione del pubblico che possa essere differente da quella anticipata e confezionata. I media, e probabilmente molti studiosi dei media, potrebbero sostenere che l’uso della Monoforma in questo modo sia una pratica largamente accettata. Ma accettata da chi? Chi l’ha discussa? E cosa sappiamo del suo impatto? Data l’assoluta ampiezza e universalità della crisi dei media (i suoi effetti sullo sviluppo creativo e pluralistico di cinema e tv da una parte, le sue nocive conseguenze sociali, politiche e umane sul processo civile dall’altra), il silenzio che regna pubblicamente sull'argomento, nei Mavm stessi, e nella sfera educativa, è scioccante.¹
La Commune è la risposta cinematografica alla trappola della monoforma, prestandosi ad essere uno dei film-manifesto più rivoluzionari della storia del cinema. Il film dalla durata di ben 5 ore e 45 minuti, ricostruisce l'insurrezione parigina avvenuta nel 1871. Fu la conseguenza di un profondo malcontento popolare che, da un lato, affondava le sue radici nella delusione della rivoluzione del 1789, definita dalle classi lavoratrici come «una rivoluzione borghese» che aveva tradito le sue promesse e, dall'altro lato, dalle scelte dell'Assemblea Nazionale a capo di Adolphe Thiers, che tentava di negoziare la pace con i prussiani con pesanti condizioni per i francesi e di trasferire il Parlamento da Parigi a Versailles. Il popolo parigino si riunì per organizzare l'autogestione dei distretti della Comune costituendo, in pochissimo tempo, un governo di ispirazione socialista: armò i cittadini, stabilì l'istruzione laica e gratuita, rese elettivi i magistrati, retribuì i funzionari pubblici e i membri del Consiglio della Comune con salari simili a quelli operai, favorì le associazioni dei lavoratori e iniziò l'epurazione degli oppositori, quali i cittadini fedeli al Governo di Thiers e i rappresentati religiosi.
Watkins dirige il film usando attori non professionisti, tutti selezionati dalle periferie di Parigi, ai quali chiede una forma molto particolare di "partecipazione attiva": gli attori sono invitati a studiare gli avvenimenti trattati e a sviluppare un punto di vista personale e critico sugli eventi, non devono così limitarsi ad interpretare soltanto i loro personaggi, ma anche a narrarli e a discuterli, sia individualmente che collettivamente, attraverso dei confronti di gruppo prima, durante e dopo le riprese del film. Questo metodo interferisce con la soggettività dell'immedesimazione nel personaggio interpretato e provoca un potente "effetto di straniamento" (vicino al Teatro Epico di Brecht) su diversi piani, al fine di porre lo sguardo dello spettatore in un continuo e incessante punto di vista distaccato, critico e libero da qualsiasi connotazione ideologica. Questa forma di partecipazione, secondo Watkins, è proprio quella «che fa paura ai media mondiali, e rappresenta probabilmente una delle ragioni primarie dei rifiuti di finanziamento da parte di numerose catene televisive sollecitate per ottenere un sostegno [...] Ciò di cui i media hanno particolarmente paura è di vedere il piccolo uomo del piccolo schermo rimpiazzato da una moltitudine di gente: dal pubblico».
Interessante è anche la presenza, per tutta la durata del film, di un telegiornale televisivo dedicato alla Comune e dei due attori che interpretano i giornalisti, i quali muniti di due microfoni si avvicinano ai personaggi per intervistarli al fine di conoscere il loro pensiero e la loro condizione socio-economica. Vedere strumenti di tecnologia moderna all'interno di un film ambientato alla fine dell'800, ci spinge ad attualizzare quello che sta accadendo e, al tempo stesso, ad interrogarci su quale sia il loro ruolo e e la loro funzione all'interno della storia narrata e di quella attualizzata. Infatti i giornalisti, consci di intervistare attori che interpretano personaggi storici, tenderanno a sollevare questioni che porteranno inevitabilmente i soggetti intervistati ad uscire dal personaggio interpretato e ad attuare un confronto diretto con il presente.
Nel 1870, il 20% più ricco della popolazione mondiale ha avuto 7 volte il reddito del 20% più povero. Nel 1997, questa differenza è di 74 a 1. Oggi, il 20% più ricco condivide l'86% del PIL mondiale, contro appena l'1% per i più poveri. Le 3 persone più ricche del mondo possiedono più del totale del PNL del mondo delle 48 nazioni meno sviluppate, vale a dire, 600 milioni di persone.
Da notare come alcuni avvenimenti storici e osservazioni del regista vengono esposti attraverso delle classiche didascalie con testo bianco e sfondo nero, un espediente rischioso ma usato in maniera davvero efficace per riassumere la moltitudine di eventi che accadono al fuori dello spazio circoscritto dal set della Comune. Come fa notare Stefano Casi, le didascalie hanno anche il ruolo di sollecitare "un paragone con il presente, contribuendo, quindi, sia all'ambiguità della percezione del reale obiettivo del film (1871 o 1999?) sia alla destrutturazione della narrazione convenzionale, fino ad arrivare – proprio nelle sequenze delle barricate – ad alcuni cartelli nei quali il testo si sostituisce alla domanda del telegiornalista ai popolani, per esempio quando si può leggere «Fino a che punto siete disposti ad arrivare?», e la popolana nell'inquadratura successiva risponde «Fino alla morte!», mentre è evidente che la domanda è in realtà rivolta proprio allo spettatore, che si presume ideologicamente coinvolto (o perlomeno disponibile a un coinvolgimento critico) e motivato a una qualche reazione all'ingiustizia e all'oppressione del sistema politico-economico-mediatico."²
L'ultima ora del film è probabilmente l'esperienza cinematografica più potente su cui mi sia imbattuto fino ad oggi. Mai un film vi spingerà ad agire come questo contro il sistema capitalista. Come fa notare una delle attrici, lo scopo del film di Watkins è stato lavorare sopratutto sul rapporto tra azione e idee, rafforzare questo rapporto è l'unica possibilità per evitare la catastrofe e ottenere un reale cambiamento: «se non vogliamo una lotta fisica e violenta, abbiamo bisogno di continuare a lottare per le nostre idee e con l'intenzione di difendere fisicamente queste idee».
Nel finale avviene una rottura sul piano formale per avanzare questo processo: Gerard Watkins, uno dei giornalisti che si era dimesso dopo che la televisione per cui lavorava imponeva poca trasparenza sulle notizie dei comunardi e non ammetteva le sue opinioni negative sul "Comitato della salute pubblica", tornerà individualmente in scena per essere testimone della rivoluzione in atto mentre i comunardi preparano le barricate, ma le sue buone intenzioni verranno ulteriormente spiazzate dal continuo incitare degli attori di smetterla di registrare con la macchina da presa e di unirsi con loro. Il medium della televisione, come già osservava Pasolini, anche nelle sue intenzioni più nobili, rimane uno strumento passivo, mercificante e alienante, prepotentemente antidemocratico.
Il film di Watkins anche se, a detta sua, non ha la pretesa di essere «un modello da seguire sul cammino della sperimentazione, bensì un’illustrazione dell’ampiezza dei problemi che attendono tutti coloro che hanno la volontà di intraprendere una strada nuova», rimane ancora un punto di non ritorno, un capolavoro cinematografico capace di costruire una coscienza di classe e ispirare una partecipazione attiva nello spettatore. Proprio a questo proposito è nata l'associazione Rebond pour la Commune, fondata dagli stessi attori, che propongono e organizzano delle fruizioni partecipative del film con il pubblico. Non mi resta che dirvi: per quelli prima di noi, per noi stessi, per i nostri figli, per tutti quelli che verranno al mondo, per il futuro dell'umanità, guardate e seminate la La Commune di Peter Watkins!
«La rivoluzione sarà lo sbocciare dell’Umanità come l’amore è lo sbocciare del cuore»Louise Michel
Il film è acquistabile qui in un'edizione DVD in lingua francese sottotitolata in inglese,
mentre su questo link potete scaricare i sottotitoli in italiano.
Note: ¹"La crisi dei mass media" di Peter Watkins;
²"Sulle barricate con Peter Watkins" di Stefano Casi dalla rivista Uzak;
²"Sulle barricate con Peter Watkins" di Stefano Casi dalla rivista Uzak;
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