Alice Rohrwacher dopo il bellissimo esordio Corpo Celeste e il felliniano Le Meraviglie gira un film dove ricongiunge lo sguardo innocente delle sue precedenti protagoniste e la durezza di un mondo dove la prevaricazione caratterizza i rapporti tra le classi.
Il film racconta la storia Lazzaro, un giovane estremamente buono e ingenuo, che vive la sua vita da semplice contadino nella tenuta della famiglia Tancredi gestita dalla marchesa Alfonsina De Luna (interpretata da Nicoletta Braschi) . La sua estrema obbedienza e disponibilità per il prossimo sono oggetto di scherno da parte degli altri contadini, ma anche dei proprietari che tentano reciprocamente di sfruttarlo a loro beneficio. Tutti i contadini però sono vittime di un inganno: la marchesa De Luna li ha tenuti all'oscuro della fine della mezzadria continuandoli a trattare come servi, come se vivessero ancora nell'epoca feudale.
Tancredi, il figlio della marchesa, non accetta di vivere nella tenuta, così si ribellerà alla madre e sfrutterà l'amicizia che ha stretto con Lazzaro per aiutarlo ad organizzare la farsa del suo stesso rapimento. La marchesa conoscendo i trascorsi del figlio, non crederà al rapimento del figlio e ordinerà a tutti di ignorare la richiesta del suo riscatto, intanto Lazzaro sarà ridotto all'estremo delle forze a causa del duro lavoro nella tenuta e il via vai che dovrà fare ogni giorno per portare i viveri a Tancredi nascosto nel suo rifugio, finendo per ammalarsi. Quando il giovane si riprenderà correrà sulla montagna per cercare il suo amico Tancredi, ma cadrà tragicamente in un dirupo e morirà. Una ragazza contro il volere della marchesa chiamerà i carabinieri per denunciare la scomparsa di Tancredi, questo evento porterà al disfacimento della tenuta e all'arresto della marchesa De Luna, perché il suo inganno verrà scoperto.
La narrazione del film, lineare fino a questo punto, subirà una rottura "magica": le immagini maestose dei campi, della natura e delle montagne che circondano la tenuta, si alternano con quelle dello sfratto della comunità contadina portata sull'autobus diretto verso la città, mentre la voce fuori campo di Antonia, una delle contadine, racconta una misteriosa favola dalla risonanza francescana:
Un lupo molto vecchio era diventato inutile, non riusciva più a cacciare gli animali selvaggi. Così il branco lo mandò via e il vecchio lupo si avvicina alle case per rubare le bestie, le galline, le pecore... c'aveva fame. Gli abitanti delle case cercarono di ucciderlo in tutti i modi, ma non ci riuscivano. Facevano la guardia ogni notte. Mettevano trappole, lacci, era come invisibile. Gli uomini odiavano il lupo, lo credevano enorme, feroce, mica lo sapevano che era solo un lupo vecchio, affamato. Si sparse la voce che un Santo sapeva parlare con gli animali. Che quelli lo capivano, gli obbedivano. Allora lo andarono a chiama'. Il Santo accettò di parla' con il lupo, per chiedere una tregua. Così partì per trovarlo. Sto' Santo camminò per tanto tempo. Cammina, cammina, arriva l'inverno. Il Santo è stremato. C'ha freddo, fame, ma del lupo non c'è traccia. Non sa che anche il lupo c'ha fame, ed è sulle sue tracce già da molto tempo. Ad un certo punto, il Santo casca a terra sfinito nella neve. E' lì che lo trova il lupo. Allora si avvicina, affila gli artigli, arrota i denti, pronto a divorarlo, ma sente un odore che non ha mai sentito prima, che lo blocca. Annusa ancora. Che odore era? L'odore di un uomo buono.
Nel mentre vedremo un lupo che si avvicina sul corpo di Lazzaro, il lupo come nella favola lo annusa e non lo divora, ma dopo questo incontro avviene qualcosa di straordinario: Lazzaro risorge come in una parabola biblica. Rohrwacher utilizza l'espediente della favola in maniera audace e sorprendente, donando forza simbolica alla figura di Lazzaro, infatti nella seconda parte del film lo spettatore si ritroverà immerso in un'atmosfera senza tempo perché Lazzaro non sarà invecchiato, mentre il resto del mondo sì.
Lazzaro dopo la resurrezione, tornerà nella tenuta dei Tancredi ormai abbandonata, ma incontrerà due ladri che frugheranno la tenuta per raccogliere gli ultimi oggetti preziosi rimasti e che agli occhi del ragazzo si fingeranno essere addetti al servizio dei trasporti. Lazzaro seguendo le indicazioni dei due si dirigerà a piedi verso la città in cerca dei suoi padroni, solo e nel freddo, fintanto non incontrerà, per una strana coincidenza Antonia, ormai adulta, che lo riconoscerà immediatamente in quella che è una scene più belle del film: lei si inginocchierà davanti a lui guardandolo con commozione come fosse un'immagine sacra e farà di tutto per portarselo con sé, anche se la comunità con cui ora vive sarà contraria. Lazzaro scoprirà che le condizioni in cui vivono i vecchi contadini non sono poi così diverse dal passato: la miseria, l'abbandono e l'illegalità continuano a caratterizzare le loro vite. Dopo il "grande inganno" feudale della marchesa De Luna, anche il capitalismo ha ingannato le loro vite, a questo proposito la scena in cui assistiamo all'asta per il prezzo dell'orario di lavoro da parte degli immigrati è particolarmente significativa.
Ma la scoperta più amara, sarà quando Lazzaro incontrerà Tancredi e il suo cagnolino, ridotto anch'esso alla miseria perché dopo l'esproprio della tenuta, la Banca ha trattenuto tutte le ricchezze dei suoi immobili. Il "grande inganno" come lo interpreterà Lazzaro nella sua ingenua sapienza, incombe ancora nella modernità. Simbolica è la sequenza in cui Lazzaro rimane ammaliato dalla bellezza della musica d'organo che proviene da una Chiesa, Antonia lo accompagnerà dentro per sentirla meglio, ma le suore li cacceranno via perché è in corso una sessione privata, proibita alla fruizione pubblica. Con l'uscita di Lazzaro e Antonia dalla Chiesa, accadrà un altro avvenimento "magico": l'organo della Chiesa non emetterà più suoni, mentre la sua musica come una sostanza spettrale si sposterà oltre le mura della Chiesa seguendo Lazzaro e i suoi compagni. Ormai stanco e deluso da questo "nuovo" mondo, Lazzaro si isolerà dagli altri, sedendosi sotto un albero, mentre le note dell'organo si faranno sempre più gravi come se provenissero dal suo animo. Una lacrima righerà la dolcezza del suo volto.
Nel spiazzante finale, Lazzaro entrerà in una Banca con il vano tentativo di ridare alla famiglia Tancredi tutto ciò che ha perduto, ma per un equivoco verrà scambiato per un rapinatore e la folla attorno a lui inferocita si scaglierà contro. Improvvisamente, il lupo apparirà solo ai suoi occhi come un fantasma o una sorta di angelo della morte. Interessante è la scelta registica di montare la sequenza dello scambio di sguardi tra Lazzaro e il lupo, per due volte. Una ripetizione che rompe il fluire cronologico degli eventi, ma anche il piano formale dell'opera, perché evidenza l'artificio, la natura "diversa" di quelle immagini accordate alle altre, re-introducendo una dimensione atemporale alla materia filmica e provocando una "scissione" tipica della potenzialità del cinematografo, in senso bressoniano. La musica extradiegetica del brano "Erbarm' dich mein, oh Herre Gott, BWV 721" di John Sebastian Bach sopraggiunge in maniera toccante, mentre il lupo percorre le strade della metropoli in senso contrario alle auto, dirigendosi verso le fauna selvatica, forse dove tutto è iniziato o per intraprendere un nuovo viaggio nel mondo. Nella favola raccontata da Antonia, il lupo risparmia il Santo e promette di non far male a nessuno quando sente l'odore del Santo, nei "Fioretti" di San Francesco si legge anche che al lupo viene chiesta la tregua della sua ferocia a condizione che venga sfamato per tutta la vita. Ma l'umanità, al contrario del lupo, anche quando sfamata non arresta la sua voracità e crudeltà. Il lupo è un archetipo che evoca gli istinti primitivi legati all'aggressività e la sua manifestazione nel finale sembra sorreggere questa interpretazione. Lazzaro è sfuggito alla ferocia del lupo in quanto animale, ma non a quella umana. Non c'è davvero più salvezza per questo mondo?
Lazzaro evoca «la possibilità della bontà, che gli uomini da sempre ignorano, ma che si ripresenta e li interroga come qualcosa che poteva essere e non abbiamo voluto».
Lazzaro Felice è un film potente, complesso e toccante, l'attore protagonista Adriano Taridolo sprigiona una bellezza e una purezza pasoliniana. La fotografia del film è gestita magnificamente da Hélène Louvart che usa sapientemente la luce naturale, come nella scena della resurrezione dove la luce del sole irradia il risveglio di Lazzaro.
Il film seppur abbia ricevuto 9 nomination ai David di Donatello, non ne ha vinta una. Imperdonabile, perché, a mio avviso, ci troviamo di fronte a uno dei film italiani più belli dell'ultimo decennio e checché se ne dica i pluripremiati film di Garrone e Sorrentino non ne sono affatto all'altezza. Grazie Alice!
Il film è disponibile in Blu-Ray disc su questo link.
Perfetta recensione...un film bellissimo che lascia pensare e riflettere...
RispondiEliminaDavvero meraviglioso!