Conosciuto anche con il titolo internazionale "The Sea and Poison". Un film di difficile reperibilità, ancora oggi non esistono edizioni home video in Occidente, ma è reperibile online con i sottotitoli in inglese. È l'adattamento dell'omonimo romanzo del Premio Nobel per la letteratura Shūsaku Endō, racconta la controversa storia di alcuni medici dell'Università di Kyushu che, nel 1945, su ordine dei militari giapponesi eseguirono degli atroci esperimenti su pazienti cinesi e prigionieri americani. Questi esperimenti furono solo alcuni dei tanti che l'unità segreta militare giapponese, conosciuta come Unità 731, eseguì per la ricerca e lo sviluppo di nuove armi chimico-biologiche, dal 1936 fino al 1946 in varie zone del territorio cinese colonizzato.
Il film di Kei Kumai è anche il primo lungometraggio ad aver trasportato questa storia terribile al cinema, infatti solo qualche anno dopo uscirà in Cina lo sconvolgente "Men Behind the Sun" diretto da Tun Fei Mou, che tutt'oggi rimane per molti il primo riferimento sulla tematica, un film per certi versi più violento ma meno riuscito sotto molti punti di vista. "Il mare e il veleno" è un film straordinario, pregno di una desolante bellezza, la regia di Kei Kumai è coscienziosa e cristallina, penetra nelle menti dei carnefici, scrutandone le coscienze e svelandone i moventi, restituendo allo spettatore un ritratto umano spietato e annichilente. L’indagine psicologica finirà per scontrarsi con l'abisso dell'oscurità dell'animo umano, evidenziando come la brutalità degli atti scaturisca da sentimenti ordinari, quali egoismo, risentimento, vigliaccheria e conformismo. Nessuno del personale coinvolto nell'attività di quegli atroci esperimenti si rivelerà interessato realmente alla ricerca scientifica, ma spinto fondamentalmente da cose insignificanti. Come afferma Hannah Arendt, “il male è banale”, e nessuna altra conclusione risuonerà con maggior verità per Kumai. Il titolo è poetico quanto significativo: "Il mare e il veleno", richiama due compositi chimici che possono mescolarsi e diluirsi, proprio come l'abisso dell'animo umano e il male, che inevitabilmente si fonde con esso. Una terrificante constatazione. Sconvolgente è la resa iperrealista delle sequenze chirurgiche nella sala operatoria, il bianco e nero di Masao Tochizawa non pregiudica il realismo, c'è una tensione insopportabile e ci si sente come intrappolati in quella stanza. E non si può fare a meno di rabbrividire davanti alla lunga scena della vivisezione finale, soprattutto quando il chirurgo, stringendo con mano l'organo della cavia umana, esegue un massaggio cardiaco. Quest'immagine, disturbante e indelebile, evidenzia quanto sia terribile il potere che l'uomo ambisce ad esercitare sulle altre vite, nel futile tentativo di impadronirsi del mistero della vita. Il canto "O Haupt voll Blut und Wunden", tratto dalla "Passione secondo Matteo" di Bach, irrompe nella scena con profondo strazio, in netto contrasto con il cinico materialismo che permea l'immagine. "Il mare e il veleno" è un grandissimo film, di quelli che non invecchiano mai e non ti lasciano più.
Il film di Kei Kumai è anche il primo lungometraggio ad aver trasportato questa storia terribile al cinema, infatti solo qualche anno dopo uscirà in Cina lo sconvolgente "Men Behind the Sun" diretto da Tun Fei Mou, che tutt'oggi rimane per molti il primo riferimento sulla tematica, un film per certi versi più violento ma meno riuscito sotto molti punti di vista. "Il mare e il veleno" è un film straordinario, pregno di una desolante bellezza, la regia di Kei Kumai è coscienziosa e cristallina, penetra nelle menti dei carnefici, scrutandone le coscienze e svelandone i moventi, restituendo allo spettatore un ritratto umano spietato e annichilente. L’indagine psicologica finirà per scontrarsi con l'abisso dell'oscurità dell'animo umano, evidenziando come la brutalità degli atti scaturisca da sentimenti ordinari, quali egoismo, risentimento, vigliaccheria e conformismo. Nessuno del personale coinvolto nell'attività di quegli atroci esperimenti si rivelerà interessato realmente alla ricerca scientifica, ma spinto fondamentalmente da cose insignificanti. Come afferma Hannah Arendt, “il male è banale”, e nessuna altra conclusione risuonerà con maggior verità per Kumai. Il titolo è poetico quanto significativo: "Il mare e il veleno", richiama due compositi chimici che possono mescolarsi e diluirsi, proprio come l'abisso dell'animo umano e il male, che inevitabilmente si fonde con esso. Una terrificante constatazione. Sconvolgente è la resa iperrealista delle sequenze chirurgiche nella sala operatoria, il bianco e nero di Masao Tochizawa non pregiudica il realismo, c'è una tensione insopportabile e ci si sente come intrappolati in quella stanza. E non si può fare a meno di rabbrividire davanti alla lunga scena della vivisezione finale, soprattutto quando il chirurgo, stringendo con mano l'organo della cavia umana, esegue un massaggio cardiaco. Quest'immagine, disturbante e indelebile, evidenzia quanto sia terribile il potere che l'uomo ambisce ad esercitare sulle altre vite, nel futile tentativo di impadronirsi del mistero della vita. Il canto "O Haupt voll Blut und Wunden", tratto dalla "Passione secondo Matteo" di Bach, irrompe nella scena con profondo strazio, in netto contrasto con il cinico materialismo che permea l'immagine. "Il mare e il veleno" è un grandissimo film, di quelli che non invecchiano mai e non ti lasciano più.
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