Lene Marie Fossen è stata una giovane fotografa norvegese che ha sofferto di anoressia nervosa dalla tenera età di 10 anni fino agli ultimi giorni della sua vita. Il suo stato di malnutrizione non le ha permesso di raggiungere la pubertà e di sviluppare i caratteri sessuali secondari, ma malgrado le complicanze fisiche, la sua forza e tenacia le hanno permesso di diventare una fotografa autodidatta. Il documentario è diretto da una triade di registi composta da Katja Høgset, Margreth Olin e Espen Wallin, che l'hanno seguita intimamente nella sua ricerca artistica, dalla fioritura del suo talento, al suo riconoscimento fino alla tragica morte, inaspettata, avvenuta all'etá di 33 anni. La Fossen, prima di morire, è riuscita a guardare il documentario finalizzato, chiedendo persino che venissero apportate alcune modifiche, che i registi hanno accolto. Questo ha permesso che lo sguardo del film entrasse in netta simbiosi con quello della sua protagonista, restituendoci un ritratto intenso e straziante, che affronta con rara e profonda dignità il tema della malattia. La voce della Fossen è infatti onnipresente per tutto il film, confidandoci tutte le sue paure, gioie, sofferenze e speranze. Quello che colpisce del suo lavoro è la sua fame di contatto umano, durante i suoi scatti la vediamo avvicinarsi moltissimo ai soggetti cercando con tutte le sue forze di catturare la loro anima. Le sue fotografie usano in maniera predominante i contrasti del chiaroscuro, i cui soggetti - come sottolinea il noto fotografo norvegese Morten Krogvold - emergono dall'oscurità come nella opere pittoriche di Caravaggio. Gli sconvolgenti autoritratti, ambientati negli scarni interni di edifici abbandonati con le pareti scostrate, rievocano gli autoscatti di Francesca Woodman e sono pervasi da un'atmosfera mistica che ricorda i film di Andrej Tarkovskij. L'attenzione della Fossen ad un certo punto della sua carriera si è focalizzata verso i bambini rifugiati, che come lei stessa afferma, sono le vere vittime di ogni conflitto umano, quei ritratti chiedono allo spettatore di affrontarli, affinché non vengano dimenticati. Il fulcro centrale della sua ricerca artistica è la consapevolezza della sofferenza umana e di come questa possa assumere la forma di una bellezza, vera, perché capace di farci trovare la forza per migliorarci come persone. Nel toccante finale, la Fossen si immortala con un autoscatto accanto ai suoi genitori, ed è la sua unica fotografia in cui viene ritratto più di un soggetto nel campo visivo, una scelta destabilizzante che chiude con grazia la sua arte e il documentario stesso. L'intimità e la quotidianità della sua presenza è immortalata lì, vicina alle persone che l'hanno messa al mondo, per divenire eterna, per ricordarci che malgrado il suo imminente trapasso sarà sempre lì a vegliare su di loro. Nei titoli di coda, tra le struggenti note di Susanne Sundfør, possiamo sentire davvero la presenza della sua anima delicata. "The Self Portrait" è un documentario breve, ma onesto e potente, che lascia il segno, ed è un peccato che stia facendo molta fatica ad essere distribuito, perché la sua visione dovrebbe essere un dovere morale.
martedì 30 novembre 2021
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