Il titolo Nitrato d'argento, suona come una licenza poetica, perché si riferisce al nitrato di cellulosa e il bromuro d'argento di cui erano composte le vecchie pellicole in bianco e nero. Il film è una vera e propria ricerca antropologica sullo spettatore cinematografico, che inizia trasportandoci nelle sale degli anni Dieci, in cui avvennero le prime proiezioni dei film muti, per poi percorrere progressivamente tutta la storia del cinema, fino agli anni Novanta, testimoniandoci l'evoluzione tecnica e artistica del cinema e di come questo abbia influito sull'uomo e le masse. Assisteremo così allo stupore del pubblico di fronte alla sparatoria del primo western, al primo bacio sullo schermo, alla sua indignazione di fronte al primo amplesso, alla rabbia della censura, alla sua noia per il film messicano El día que me quieras (1935) che guardava solo per attendere l'omonima canzone di Carlos Gardel e cantarla insieme a lui, e alla ribellione di alcuni giovani sessantottini che per riaffermare l'identità del cinema proiettano le immagini della Ingrid Bergman in Stromboli (di Roberto Rossellini), fuori dalla sala, sopra un gruppo di persone sedute a mangiare all'aperto, in una delle scene più iconiche del film. Non mancano gli omaggi a Rodolfo Valentino, Charlot e De Sica. Nel film appaiono 240 attori (che recitano almeno una battuta) e 12.000 comparse.
La vera rivoluzione del cinema, come Ferreri ha sottolineato più volte anche nelle sue dichiarazioni, è quella di aver permesso a centinaia di persone di diversa cultura, status sociale, etnia e credenze di ritrovarsi nella stessa sala per condividere non solo quello spazio, ma di viverlo, per stabilire una connessione reale con l'altro, rompendo moltissimi tabù della società perbenista e borghese. Diviene così il luogo di ritrovo degli amanti segreti, di tutti quelli che vogliono fornicare, dei partigiani che si nascondono dalla Gestapo, degli immigrati che vogliono imparare nuove lingue e delle classi povere che vogliono semplicemente sognare o ribellarsi. La sala cinematografica era il luogo assoluto della libertà. Pensare che oggi quella stessa libertà non ci sia più e che abbia acquisito tutt'altro senso con l'avanzare delle tecnologie che hanno esteso, fino a sostituire, la fruibilità dei film al di fuori della sala, dovrebbe farci riflettere molto e amaramente. Non a caso l'immagine che conclude il film è quella di spettatori-manichini che occupano la sala passivamente, che ci siano o meno quegli involucri di plastica è irrilevante, il rituale sociale delle sale si è sostituito a quello dell'automazione collettiva.
Questo è anche il film che chiude con grazia la carriera di Ferreri e guardandolo non si può far a meno di pensare che non poteva esserci conclusione più perfetta. Un film meraviglioso, davvero troppo sottovalutato e che andrebbe riscoperto.
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