Durante il corso dell'anno mi capita di guardare moltissimi film, ma non sempre riesco a dedicare a ciascuno un articolo su questo blog. Letterboxd è uno strumento estremamente utile per mantenere un diario aggiornato delle proprie visioni cinematografiche.
Ogni anno, con l'obiettivo di sintetizzare e condividere questa esperienza, scelgo di compilare una lista dei 10 migliori film che ho visionato durante l'arco dell'anno. L'ordine dei film selezionati è puramente cronologico e non rappresenta una classifica basata su criteri di merito artistico.
Ogni anno, con l'obiettivo di sintetizzare e condividere questa esperienza, scelgo di compilare una lista dei 10 migliori film che ho visionato durante l'arco dell'anno. L'ordine dei film selezionati è puramente cronologico e non rappresenta una classifica basata su criteri di merito artistico.
diretto da Agnès Varda
«Cléo è una cantante parigina che attende i risultati di un importante esame medico, questa attesa la porterà a vivere una crisi esistenziale. La particolarità del film è che il tempo filmico coincide esattamente con quello reale: cattura esattamente i 90 minuti (dalle 5.20 alle 7) che separano la protagonista dall'appuntamento con il dottore per ottenere i risultati dell'esame, previsto per le 7. Il film è anche suddiviso in capitoli che indicano la durata delle scene che andremo a vedere, spesso questa suddivisione è fatta in relazione agli incontri che la protagonista farà con diverse persone. Questa scelta stilistica che sottolinea come la temporalità del tempo filmico sia già definita - seppur coincida con la durata reale degli eventi - rivela l'artificio stesso del cinematografo e l'impossibilità di delineare e catturare realmente il tempo perché é un'esperienza assolutamente soggettiva. Cléo vive questa attesa come una lunga agonia, avverte uno strano "presagio" di morte che è alimentato da fatti e superstizioni: le gravi parole che ha udito in ospedale dai medici durante il test, il suo dolore al ventre, le rivelazioni negative della cartomante, uno specchio rotto, tutte cose che alimentano la sua angoscia e la spingono a fermarsi e riflettere sulla propria esistenza, il tempo sembra così assestarsi, il trascorrere dei minuti la tormentano, il giorno le sembra più lungo degli altri, qualcuno le rivelerà anche che è il primo giorno d'estate ed è normale che sia più lungo degli altri. Insieme a Cléo ci sentiamo smarriti. Agnès Varda decostruisce tutte le convenzioni legate al "tempo" per rivelarne tutta la sua relativa sequenzialità, dando valore al peso e allo spazio dei sentimenti umani...» (vaevedi.it)
diretto da Marco Ferreri
«L'intera civiltà umana è arrivata alla deriva, un'epidemia di origine sconosciuta ha dimezzato la popolazione, terremoti e incendi hanno cancellato intere città, a Roma della Basilica di San Pietro e della sua Pietà non rimangono che delle rovine, come viene mostrato in uno dei momenti più suggestivi del film; in tutto questo desolante e catastrofico scenario, lo scientismo che guida i Governi dichiara lo stato di emergenza, adottando delle misure folli e disumane che minano pesantemente la libertà dei pochi sopravvissuti della popolazione mondiale. Incredibile è l'attualità di quest'opera di Ferreri datata 1969, che nonostante sia immersa nell'immaginario fantascientifico e pervasa dal tipico surrealismo anarchico del regista milanese, parla molto del nostro oggi. La storia prosegue concentrandosi su Cino e Dora, una coppia di giovani fidanzati che è sopravvissuta ad una catastrofe, le Autorità li costringerà ad isolarsi ed a rimanere in "quarantena" per il resto della loro vita, così la coppia finirà per trovare rifugio in una casa abbandonata in riva al mare. Qui come una sorta di Adamo ed Eva al momento della loro prima relazione con il mondo, scopriranno una Terra nella sua forma primigenia perché svuotata dalla contaminazione umana, godranno di tutti i suoi frutti e respireranno l'armonia della natura, ma scopriranno anche le sue tentazioni: le uniche tracce di civiltà che attraverseranno il loro nuovo mondo, come radio, frigoriferi, quadri e caciotte di parmigiano, appariranno ai loro occhi come reliquie sacre da custodire gelosamente in un Museo (che Cino istituirà per davvero) e qui è evidente il riferimento al concetto marxista del culto e del feticismo delle merci. Anche l'arrivo di una misteriosa donna straniera tenterà gli appetiti sessuali di Cino, mettendo in crisi la relazione sentimentale con Dora...» (vaevedi.it)
diretto da Elem Klimov
«Terzo lungometraggio di Elem Klimov. Si tratta di un documentario che omaggia lo sport nel senso più alto del termine e in un modo davvero particolare, perché combina abilmente messe in scena di finzione, materiali d'archivio cinematografici sovietici e stranieri, filmati di cinegiornali e dichiarazioni sullo sport da parte di personaggi famosi come il giornalista sportivo Vadim Sinyavskyla e l'attore Daniel Olbrykhsky, solo per citarne alcuni. La trama portante del film è la messa in scena, dai toni umoristici, di un vecchio massaggiatore soprannominato zio Volodya, che racconta ai suoi giovani atleti delle vecchie storie della sua vita, che appaiono quasi delle leggende. Prima della prima guerra mondiale narra di aver allenato il famoso corridore Jean Bouin e poi in seguito, di aver aiutato ai campionati di Londra, il pugile dei pesi massimi Grebnjak facendogli perdere 13 kg di peso per farlo passare alla categoria dei pesi massimi leggeri. Narra anche di come ha aiutato il campione di basket Tolja, salvandolo dalla sua vita da "freaks" a causa della sua impressionante altezza e di averne fatto di questa differenza la sua forza. Le storie di zio Volodya sono intervallate da cinegiornali e filmati storici dello sport, tra i più significativi ci sono le immagini delle Olimpiadi del 1936 a Berlino, dove l'atleta afroamericano Jesse Owens vinse quattro medaglie d'oro, causando l'ira di Hitler che finì per abbandonare lo stadio, e le immagini delle Olimpiadi del 1959 dove l'atleta americano Bob Soth rischiò di morire nella corsa dei 10.000 metri piani. Nel documentario sono incastonate magnificamente le poesie dalla poetessa Bella Akhmadulina, recitate da lei stessa, che accompagnando le immagini d'archivio degli atleti, sprigionano una bellezza metafisica...» (vaevedi.it)
diretto da Eiichi Yamamoto
«Ispirato al saggio "La Strega" di Jules Michelet, è il terzo e ultimo film d'animazione della trilogia Animerama e l'unico ad essere scritto e diretto esclusivamente da Eiichi Yamamoto. La sua produzione durò ben 7 anni, dal 1967 al 1973, e al momento dell'uscita fu un fallimento commerciale che contribuì alla bancarotta della Mushi Production. Fortunatamente il film con il passare degli anni è stato rivalutato, diventando un vero e proprio cult. Nel 2015 è stato ridistribuito nella sale cinematografiche in nuova versione restaurata in 4K. Il film narra della vita di Jean e Jeanne, una coppia di novelli sposi, che vivono in un villaggio rurale della Francia medievale. La tradizione vuole che i sudditi debbano offrire al loro barone dei doni, in segno di gratitudine per aver concesso loro il sacro vincolo del matrimonio. Jean si dirigerà dal barone per offrirgli una mucca, ma lui ne pretenderà dieci. Non potendo soddisfare la richiesta del barone, la moglie Jeanne verrà costretta a passare la prima notte di nozze con lui secondo lo "Ius primae noctis". Il barone la stuprerà senza pietà e dopo la consegnerà a tutti i suoi cortigiani che abuseranno di lei in egual modo. Jeanne rimasta completamente sola con il suo dolore, comincerà ad avere delle strane visioni: le apparirà un piccolo spirito dalla forma fallica che la stuzzicherà sessualmente, promettendole di ottenere molto potere e un giorno di vendicarsi del barone. Jeanne con la promessa di salvare suo marito, accetterà il patto con l'inquietante esserino, che si rivelerà essere l'impersonificazione di Satana. L'essere aumenterà progressivamente le sue fattezze ogni qual volta Jeanne patteggerà con lui, ma questa metamorfosi sarà speculare, la donna infatti acquisterà sempre più fascino, potere, salute e ricchezza, elevando progressivamente il suo rango sociale, fino a sfidare la posizione e la reputazione del barone. Il film è composto da illustrazioni magnifiche, che sembrano principalmente essere influenzate dall'arte occidentale...» (vaevedi.it)
diretto da Wolfgang Petersen
«Conosciuto anche con il titolo "The Consequence", è un film televisivo tedesco presentato in anteprima l'8 Novembre del 1977 sul canale ARD, adattamento dell'omonimo romanzo autobiografico di Alexander Ziegler pubblicato nel 1975, racconta le vicissitudini di un attore omosessuale di nome Martin Kurath (Jürgen Prochnow) che finisce in prigione scontando una pena di due anni e mezzo per aver sedotto un ragazzo minorenne. Nella prigione conoscerà Thomas Manzoni (Ernst Hannawald), il figlio quindicenne del direttore del carcere, con cui si legherà sentimentalmente. Quando Martin verrà rilasciato, i due decideranno di costruire una vita insieme come una qualunque coppia, ma ogni tentativo di vivere liberamente la loro storia d'amore verrà ostacolato: la famiglia di Thomas dopo il coming out del figlio si opporrà alla relazione e con l'aiuto dei legali lo faranno rinchiudere in un riformatorio, dove subirà umiliazioni e violenze di ogni sorta. Il rifiuto della società e la persecuzione di matrice omofoba condizioneranno gravemente le sue condizioni psichiche e giungerà all'età di 21 anni con dei danni irreparabili. Il film all'epoca, malgrado l'operazione di censura e boicottamento dell'emittente tedesca Bayerischer Rundfunk, ebbe un ruolo fondamentale nell'aver avviato un dialogo sulle tematiche legate all'omosessualità. Basti pensare che soltanto 6 anni prima, nel 1971, lo psicologo George Weinberg coniò per la prima volta il termine omofobia nel suo libro "Society and the Healthy Homosexual" ("La società e l'omosessuale sano"), per descrivere la paura e l'avversione dell'omosessualità. Si tratta di un film che porta con sé la coscienza progressista di quel periodo, questa onestà di fondo rende il film ancora oggi meritevole di visione...» (vaevedi.it)
diretto da Kei Kumai
«È l'adattamento dell'omonimo romanzo del Premio Nobel per la letteratura Shūsaku Endō. Racconta la controversa storia di alcuni medici dell'Università di Kyushu nel 1945, che su ordine dei militari giapponesi eseguirono degli atroci esperimenti su pazienti cinesi e prigionieri americani. Questi esperimenti furono solo alcuni dei tanti che l'unità segreta militare giapponese, conosciuta come Unità 731, eseguì per la ricerca e lo sviluppo di nuove armi chimico-biologiche dal 1936 fino al 1946 in varie zone del territorio cinese colonizzato. Il film di Kei Kumai è anche il primo lungometraggio ad aver trasportato questa storia terribile al cinema, infatti solo qualche anno dopo uscirà in Cina lo sconvolgente "Men Behind the Sun" diretto da Tun Fei Mou, che tutt'oggi rimane per molti il primo riferimento sulla tematica, un film per certi versi più violento ma meno riuscito sotto molti punti di vista. "The Sea and Poison" è un film straordinario, pregno di una desolante bellezza, la regia di Kei Kumai è coscienziosa e cristallina, entra nella mente dei suoi carnefici e li "viviseziona" interiormente, interrogando la loro coscienza e indagando sul loro movente, restituendo allo spettatore un ritratto umano spietato e annichilente...» (vaevedi.it)
diretto da Chantal Akerman
«È uno dei nove episodi di "Tous les garçons et les filles de leur âge" un progetto televisivo francese prodotto da Arte e trasmesso nell'ultimo trimestre del 1994. Tutti gli episodi sono diretti da registi diversi e affrontano il tema dell'adolescenza con storie diverse. "Portrait d’une jeune fille de la fin des années 60 a Bruxelles" è il terzo episodio diretto da Chantal Akerman e segue le vicende di Michelle, una giovane adolescente stanca e delusa della vita, non frequenta la scuola da tre mesi e passa le mattinate tra le strade di Bruxelles e dentro i cinema. Un giorno durante la proiezione di un film conosce Paul, i due si baciano e una volta usciti dal cinema vagano per le strade di Bruxelles parlando delle loro esperienze di vita e delle loro idee su svariati temi come l'amore, la sessualità, la politica e la filosofia. Michelle confesserà a Paul di averlo baciato solo per poterlo raccontare a un altro ragazzo e farlo soffrire, Paul, a sua volta, confesserà di averle mentito riguardo il suo presunto appuntamento con un'altra ragazza e le rivelerà di essere un disertore che è appena fuggito con la scusa del giorno di licenza. Tra i due nascerà un'intesa forte, ma contrariamente alle aspettative giungeremo a un epilogo che definire destabilizzante è riduttivo. Chantal Akerman, vicina per intenzioni poetiche alla crisi esistenziale dell'ultimo cinema di Robert Bresson, mette in azione un processo di decostruzione dei codici comportamentali e delle garanzie identitarie, in questo caso strettamente legate alla cultura eteronormativa, aprendo nuove possibilità interpretative della realtà. Questo processo culmina durante la scena del ballo finale...» (vaevedi.it)
diretto da Marco Ferreri
«Il titolo suona come una licenza poetica, perché si riferisce al nitrato di cellulosa e il bromuro d'argento di cui erano composte le vecchie pellicole in bianco e nero. Il film è una vera e propria ricerca antropologica sullo spettatore cinematografico, che inizia trasportandoci nelle sale degli anni Dieci, in cui avvennero le prime proiezioni dei film muti, per poi percorrere progressivamente tutta la storia del cinema, fino agli anni Novanta, testimoniandoci l'evoluzione tecnica e artistica del cinema e di come questo abbia influito sull'uomo e le masse. Assisteremo così allo stupore del pubblico di fronte alla sparatoria del primo western, al primo bacio sullo schermo, alla sua indignazione di fronte al primo amplesso, alla rabbia della censura, alla sua noia per il film messicano "Eldía que me quieras" (1935) che guardava solo per attendere l'omonima canzone di Carlos Gardel e cantarla insieme a lui, e alla ribellione di alcuni giovani sessantottini che per riaffermare l'identità del cinema proiettano le immagini della Ingrid Bergman in Stromboli , fuori dalla sala, sopra un gruppo di persone sedute a mangiare all'aperto, in una delle scene più iconiche del film. Non mancano gli omaggi a Rodolfo Valentino, Charlot e De Sica. Nel film appaiono 240 attori (che recitano almeno una battuta) e 12.000 comparse. La vera rivoluzione del cinema, come Ferreri ha sottolineato più volte anche nelle sue dichiarazioni, è quella di aver permesso a centinaia di persone di diversa cultura, status sociale, etnia e credenze di ritrovarsi nella stessa sala per condividere non solo quello spazio, ma di viverlo, per stabilire una connessione reale con l'altro, rompendo moltissimi tabù della società perbenista e borghese...» (vaevedi.it)
diretto da Margreth Olin, Espen Wallin e Katja Høgset
«Lene Marie Fossen è stata una giovane fotografa norvegese che si è ammalata di anoressia nervosa dalla tenera età di 10 anni, il suo stato di malnutrizione non le ha permesso di raggiungere la pubertà e di sviluppare i caratteri sessuali secondari, ma malgrado le complicanze fisiche, la sua forza e tenacia le hanno permesso di diventare una fotografa autodidatta. Il documentario è diretto da tre registi (Espen Wallin, Katja Høgset e Margreth Olin) che l'hanno seguita intimamente nella sua ricerca artistica, dalla fioritura del suo talento, al suo riconoscimento fino alla tragica morte, inaspettata, avvenuta all'età di 33 anni. La Fossen, prima di morire, è riuscita a guardare il documentario finalizzato, chiedendo persino che venissero apportate alcune modifiche, che i registi hanno accolto. Questo ha permesso che lo sguardo del documentario entrasse in netta simbiosi con quello della sua protagonista, restituendoci un ritratto intenso e straziante, che affronta con rara e profonda dignità il tema della malattia. Quello che colpisce del suo lavoro è la sua fame di contatto umano, durante i suoi scatti la vediamo avvicinarsi moltissimo ai soggetti cercando con tutte le sue forze di catturare la loro anima. Le sue fotografie usano in maniera predominante i contrasti del chiaroscuro, i cui soggetti - come sottolinea il noto fotografo norvegese Morten Krogvold - emergono dall'oscurità come nella opere pittoriche di Caravaggio. L'attenzione della Fossen ad un certo punto della sua carriera si è focalizzata verso i bambini rifugiati, che come lei stessa afferma, sono le vere vittime di ogni conflitto umano. Quei ritratti chiedono allo spettatore di affrontarli, affinché non vengano dimenticati. Il fulcro centrale della sua ricerca artistica è la consapevolezza della sofferenza umana e di come questa possa assumere la forma di una bellezza, vera, perché capace di farci trovare la forza per migliorarci come persone...» (vaevedi.it)
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