mercoledì 9 marzo 2022

Shortbus (2006)

A distanza di circa 15 anni ho rivisto questo film, che tra l'altro quest'anno è stato ripresentato nelle sale cinematografiche statunitensi in una nuova edizione restaurata in 4k. Rivederlo oggi fa un effetto molto strano, perché non si può fare a meno di pensare di come oggi il sesso - come del resto anche i rapporti umani - si siano quasi del tutto digitalizzati, soprattutto negli ultimi anni a causa del distanziamento sociale imposto dall'epidemia, ma nel frattempo la pornografia digitale è in un'incessante crescita (basti pensare ad Onlyfans, videoconferenze a luci rosse su ZOOM, PornHub, ecc.), ha avuto la meglio su tutto, risucchiando qualsiasi rappresentazione della sessualità, nel cinema e nelle serie tv, la nudità e il sesso non simulato, subisce tagli o comunque non gode di grandi rappresentazioni che si addentrino sul suo significato. Come afferma John Cameron Mitchell in un'intervista al The Guardian «il porno è fantastico se è buono, ovviamente. Ma in realtà non mostra molte delle altre dimensioni della vita a cui il sesso è collegato».
Shortbus è ispirato ad un salone che è esistito davvero a New York dove si combinava sesso di gruppo, arte e cibo vegano, un luogo notturno e proibito dove trovare rifugio e piacere dalla fredda e solitaria vita metropolitana. Il film ripropone lo stesso posto incastrandoci un racconto corale, il cui nodo centrale è la storia di Sofia, una consulente di coppia incapace di raggiungere l'orgasmo e che per mezzo di una coppia gay che ha in cura viene invitata nel salone per confrontarsi con il suo problema. Il posto è gestito da Justin Bond, un'affascinante artista transgender, che come un Virgilio guiderà la donna a scoprire questo luogo recondito e bizzarro, qui entrerà in contatto con un collettivo femminista e conoscerà Severin, una sex-worker che tenterà di aiutarla con il suo "problema". Man mano che ci immergeremo nelle vite dei personaggi lo sfacciato umorismo che li ricopre si sgretolerà, facendo emergere depressioni, traumi irrisolti e deficit relazionali.
Il film, malgrado la complessità dei personaggi, è coinvolgente e la maggior parte del cast seppur sia alla sua prima esperienza sullo schermo, se la cava, Mitchell ha sostenuto di aver lasciato gli attori liberi di inserire parte delle loro esperienze di vita nei personaggi e di partecipare alle scene di sesso senza alcuna costrizione, liberamente, questa spontaneità è ben trasmessa nel film ed è uno dei suoi maggiori meriti. Ma alla fine dei conti, la sensazione che prevale è che Mitchell non sia riuscito a completare il puzzle emozionale dei suoi personaggi, manca di un'attenta analisi psicologica, ad esempio la crisi della coppia gay rimane un territorio oscuro e questo impedisce di entrare pienamente a contatto con il dramma, oltretutto l'entrata in scena di Caleb, il ragazzo che spia la coppia, seppur funzionale dal punto di vista narrativo avrebbe meritato più riguardo, soprattutto per quanto concerne la sua ricerca sessuale, visto che è il nodo centrale del film. Potremo supporre che alcune di queste mancanze sono forse domande aperte che non possono giungere a una rassicurante e univoca risposta, dopotutto di fronte alla depressione ci possono essere risposte chiare? Forse c'è solo da accettare l'oblio? Il finale da questo punto di vista sembra suggerire almeno una risposta: l'angoscia esistenziale e il vuoto che assale gli animi dei personaggi è come il blackout elettrico che subisce la cittadina, accade e basta, fa parte degli intoppi della vita. Non resta che abbandonarsi agli eventi, al fatalismo, «all'ultimo respiro prima della fine» come cita la canzone finale "In the end" di Scott Matthew, e lasciare «che i propri demoni diventino i nostri amici». Allora le paure finiscono, le inibizioni si sciolgono e il corpo è libero di concedersi all'altro, donandosi fino a dissolversi, sperando di rinascere? Nel finale magico, felliniano, da plauso, la forza della comunità prevale su ogni individualismo in un'inaspettata esplosione gioiosa e giocosa di sessualità condivisa. E l'energia orgasmica illumina di nuovo la cittadina!

«Chissà se potrei fare "Shortbus" oggi. Penso che il finanziamento e la distribuzione sarebbero molto difficili. Perché il sesso è scomparso dal cinema e dalla televisione. La nudità è quasi scomparsa ora. E il porno online ha trionfato. Lo possiedono. Possiedono il sesso ora, e lo tagliano a dadi e lo tagliano in modo che possano venderlo, e ti fanno decidere se sei un top o un bottom quando hai dieci anni. Il capitalismo ha vinto.»

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