Che la vita dei bambini nei Paesi dell'ex URSS non fosse affatto facile, l'avevamo già visto nel crudo documentario "Children Underground" diretto da Edet Belzberg nel 2001, ma forse non tutti sanno che ben sette anni prima il regista russo Vitali Kanevsky se n'era occupato in "Nous, les enfants du xxème siècle" (Noi i bambini del XX secolo), un film realizzato grazie alla co-produzione della Francia e che oscilla tra documentario e finzione, dove è lo stesso regista ad intervistare i bambini per le strade di San Pietroburgo, molti dei quali già piccoli criminali ed emarginati dalla società, completamente abbandonati a se stessi. Ma la ricerca di Kanevsky non si ferma sulle strade, entra con occhio indiscreto anche nelle prigioni, dove interroga giovani responsabili persino di omicidi, qui ritroviamo sorprendentemente il giovane attore Pavel Nazarov, che ha collaborato con il regista nei suoi due film più noti e premiati a Cannes "Sta' fermo muori e resuscita" e "Una vita indipendente", la sua comparsa è probabilmente il momento più emozionante del documentario e che raggiunge il suo picco quando a fargli visita è l'attrice Dinara Drukarova, con la quale ricorda i bei momenti passati insieme e scambia un bellissimo dialogo esistenziale. La sua presenza femminea, come in tutti i film di Kanevsky, diventa simbolica, portatrice di un'energia salvifica.
Il documentario colpisce anche per il tono sarcastico delle domande del regista, che a volte sembrano rompere il ghiaccio e sollevare quel velo tenebroso che avvolge i cuori dei giovani criminali o essere un tentativo per provocarli in modo da ottenere la verità, come accade nella scena in cui li ordina di rispondere alle domande mentre devono guardare i loro stessi occhi davanti ad uno specchio. A volte con durezza, a volte con tenerezza, il film ci guida verso una visione più ampia del dramma individuale, denunciando apertamente un sistema ormai marcio, corrotto fino in fondo e che il crollo dell'URSS ha tutt'altro lenito. A questo proposito, colpisce la sequenza parodistica, quasi surreale, in cui il regista interroga il giovane leader di un'organizzazione criminale che si atteggia come un miliardario sul ponte di uno yatch e che definisce il racket come "un contratto di lavoro volontario", come fa ben notare la critica Cati Couteu, si tratta di «una prefigurazione agghiacciante del sistema putiniano e dei costumi che hanno corrotto l'intera Russia, ma sono solo il lato esasperato di un modello che ha sedotto altri, come suggerisce il titolo: il 20° secolo di questi bambini come il lato oscuro del mondo».
Il mio amore per i bambini ci ha portato a girare un documentario dedicato alla vita nelle strade che ci è servito come base per il lavoro. È infinitamente spiacevole che bambini dotati non siano in grado di evitare il destino comune degli eroi di strada. Sfortunatamente, anche il nostro Pavel Nazarov, protagonista di "Sta' zitto, muori e resuscita" e "Una vita indipendente" non ha fatto eccezione. Da solo, e facendo affidamento solo sulle proprie forze, il bambino non è in grado di resistere all'influenza dell'elemento "strada". Le leggi di questo elemento sono formate, di regola, dalla psicologia del ladro. Spietato, crudele, dittatoriale. Nel 1989, mentre eravamo alla ricerca dell'eroe principale Valerka, abbiamo attraversato tutti i luoghi dove potevano radunarsi i bambini, cantine, rifugi, soffitte, abbiamo visitato riformatori, carceri, campi per minori, e a quel tempo, già così come oggi, per noi era ovvio che il destino di questi bambini, abbandonati, senza sufficiente attenzione da parte dei genitori, è costruito principalmente secondo uno stesso schema. Tutto parte da innocenti sciocchezze, poi piccoli furti, poi arriva il momento delle rapine tra bande, delle rapine a mano armata, infine degli omicidi e degli omicidi compiuti con particolare crudeltà. Eppure, la speranza che molti di questi bambini saranno in grado di superare il loro destino, saranno in grado di superare se stessi.
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