Il film fu commissionato dall'ORTF, un ente nazionale di radiotelevisione pubblica francese, che una volta visionato si rifiutò di mandarlo in onda. Jean-Luc Godard ne acquistò i diritti per permettere la distribuzione nella sale, ma la censura glielo impedì. Nel film ci sono solo Juliet Berto e Jean-Pierre Léaud all'interno di un teatro di posa al buio, senza alcuna scenografia, che interpretano Patricia Lumumba ed Émile Rousseau, due giovani vicini alle idee marxiste che si incontrano ogni sera per sperimentare un nuovo metodo di apprendimento che consiste nella decostruzione del linguaggio per liberarlo dall'ideologia borghese. Qui il riferimento a Jacques Derrida diventa subito chiaro anche attraverso un'immagine della copertina di "De la grammatologie" che appare all'inizio del film. Raccoglieranno dal materiale audiovisivo per sezionarlo, analizzarlo e sottoporlo a critica dialettica e condurranno degli esperimenti sulla libera associazione di parole utilizzando come campioni di analisi un bambino e un senzatetto, in uno dei momenti cinematografici più sorprendentemente belli. Durante il film, intervengono anche i commenti del regista, sussurrati, che rivelano la strategia politica e gli obiettivi della lotta. Un film più impegnativo e inaccessibile dei precedessori film politici del cosiddetto periodo rosso del regista come "La cinese" e "Weekend", ma non meno degno di interesse. Originariamente doveva chiamarsi "Émile" proprio come il romanzo pedagogico di Rousseau, ma fu sostituito con quello di "La gaia scienza", come l'omonima opera di Nietzsche, nel finale infatti Patricia cita uno dei suoi celebri aforismi: «Dio è morto.»
«Questo film non vuole, non può voler spiegare il cinema, né costituirne l’oggetto, ma più modestamente fornire qualche efficace mezzo per arrivarci. Questo film non è il film da fare, ma se si ha un film da fare, si passerà senz’altro da qualcuno dei sentieri percorsi qui»
«Uno dei film più belli e visivamente lucidi di Godard»
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