Titolo originale: Panna a netvor, uscito in Italia con il titolo Giulia e il mostro. Non me ne vogliano Jean Cocteau e la Walt Disney ma qui ci troviamo probabilmente di fronte alla migliore trasposizione cinematografica della fiaba "La Bella e la Bestia". Juraj Herz, il genio visionario de L'uomo che bruciava i cadaveri, eredita in superficie gli stessi personaggi e ambientazioni della fiaba tradizionale ma vi dà una lettura psicologica del tutto inedita e più matura. La sua Bella si chiama Julie (Zdena Studenková), un nome che deriva dal latino Giulia e che significa "sacro a Giove" o "discendente di Giove", Giove è la divinità legata al principio di crescita ed espansione dell'Io, poiché il suo compito è di spingerlo ad avventurarsi verso il mondo esterno. La Julie nel film di Herz non ha intenzione di sposarsi come le sue sorelle perché preferisce rimanere con il padre, ma non appena quest'ultimo le racconta del patto stipulato con la Bestia (avendo strappato una rosa dal suo proibito giardino, l'uomo dovrà consegnarle una delle sue figlie in sposa altrimenti verrà ucciso), non pensa due volte ad abbandonare la sua casa per dirigersi verso il misterioso castello. Una volta lì, la Bestia le vieterà di guardare il suo corpo e poi la drogherà portandola in un letto-lapide dove sognerà la Bestia sotto forma di un bellissimo principe, risvegliando in lei il desiderio romantico e sessuale. La sua permanenza nel castello non sarà un assoggettamento, ma la scoperta di nuovi sentimenti, seppur conflittuali, e di un nuovo status visto che la Bestia la dichiarerà nuova padrona dell'intera dimora. Allo stesso modo la Bestia innamorandosi di lei, comincerà a fare i conti con quella vulnerabile parte umana nascosta ancora dentro se stesso e che ha tentato di seppellire per molto tempo. Da notare che la Bestia di Herz, interpretata da uno straordinario Vlastimil Harapes, differisce moltissimo da tutte le altre rappresentazioni cinematografiche, non è l'uomo-leone dal portamento regale a cui siamo abituati, ma è un terrificante mostro con la testa di uccello e un becco scuro dotato di ali e artigli, una sorta di gigantesco brutto anatroccolo che con il suo aspetto sporco e la sua voce ringhiante esprime tutta la frustrazione e lo stato di abbandono in cui è costretto a vivere, chiuso in una lacerante solitudine lo vediamo nascosto nell'ombra a dialogare con un altro se stesso, come se il suo Io fosse frantumato in due parti. Sarà tentato di uccidersi o di uccidere bella per neutralizzare completamente l'umanità che vive ancora in lui. Ma non ci riuscirà, come gli farà notare Julie il suo animo non è così cattivo come quello degli uomini che dominano il mondo oltre il suo castello e che non perdono tempo a saccheggiare i suoi tesori e a macellare animali innocenti, come viene mostrato nella sagra all'inizio del film. I dialoghi tra i due si faranno sempre più intensi, Herz è bravo a temporeggiare la rivelazione dell'aspetto della Bestia agli occhi di Julia, lasciando che prima i loro animi si rivelino e leghino.
Caratterizzato da una scura fotografia crepuscolare curata da Jirí Macháne, che intensifica l'ambiguità e l'incertezza dei personaggi e guidato dalle musiche d'organo di Petr Hapka che spesso si inseriscono gravosamente e drammaticamente all'interno delle scene, è un film che provoca una grande suggestione nello spettatore e arriva dritto anche al suo cuore, perché al di là delle diverse chiave di letture che l'opera può suggerire è una chiara e spietata rappresentazione della solitudine e dell'asincronia dei sentimenti. L'amore per Herz è il miraggio di un sogno, una luce nell'abisso dell'animo umano troppo lontana dal mondo degli svegli, proprio come si inseriscono nel film le immagini oniriche di Julia con il principe. Ad un certo punto del film, quando Julie tocca gli artigli della Bestia questi si trasmutano in mani umane, ma con quelle stesse mani la creatura non potrà più cacciare com'era sua abitudine con il conseguente rischio di morire di fame; l'amore è capace di avviare un potente e miracoloso processo di trasformazione, ma è difficile adeguarsi a questo nuovo cambiamento e averne fede fino in fondo affinché la trasformazione si completi verso una vita in due. Una riflessione profonda che rifiuta la comoda soluzione finale della fiaba tradizionale. Memorabile è il meraviglioso incipit del film con i dipinti surrealisti di Josef Vyleťal, i cui particolari si muovono attraverso dissolvenze incrociate amplificandone l'atemporalità e anticipando la bellezza senza tempo di questo capolavoro.
«Il regista ha preso il romanzo originale e il suo adattamento e gli ha dato un tocco decisamente adulto, lontano dalla morale di De Beaumont e De Villeneuve che mal si adatta alle norme e ai valori del ventesimo e ventunesimo secolo. Herz stesso era riluttante a girare un'altra versione della storia dopo il capolavoro di Cocteau, ma è riuscito a sfruttare i punti di forza onirici di quel film e approfondire la storia ancora una volta. Pur mantenendo il quadro generale del racconto originale, Herz ha incorporato elementi altamente distintivi e del tutto più oscuri che sono solo transitoriamente presenti negli originali letterari francesi. In tal modo, ha creato un nuovo lavoro che pone domande (scomode) sulla morte, la sessualità e l'individualità.»
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