domenica 1 gennaio 2023

I 10 MIGLIORI FILM VISTI NEL 2022


Durante il corso dell'anno mi capita di guardare moltissimi film, ma non sempre riesco a dedicare a ciascuno un articolo su questo blog. Letterboxd è uno strumento estremamente utile per mantenere un diario aggiornato delle proprie visioni cinematografiche.
Ogni anno, con l'obiettivo di sintetizzare e condividere questa esperienza, scelgo di compilare una lista dei 10 migliori film che ho visionato durante l'arco dell'anno. L'ordine dei film selezionati è puramente cronologico e non rappresenta una classifica basata su criteri di merito artistico.
Di seguito, la lista dei 10 migliori film visti nel 2022.


It Is Not the Homosexual Who Is Perverse, But the Society in Which He Lives (1971)
diretto da Rosa von Praunheim

«Rosa von Praunheim è il nome d'arte che ha scelto Holger Mischwitzky per ricordare alla gente il triangolo rosa che gli omosessuali dovevano indossare nei campi di concentramento nazisti e il quartiere Praunheim di Francoforte dove lui stesso crebbe. Un nome potente che rivendica le proprie radici e la sua identità gay da cui ne sono conseguite una militanza artistica e politica che hanno contribuito a rivoluzionare un'epoca. Il suo film più importante è "Non è l'omosessuale ad essere perverso, ma la situazione in cui vive" fu girato nel 1970 con la collaborazione del sociologo Martin Dannecker, il titolo è infatti tratto da un libro di quest'ultimo, dura circa 67 minuti ed è ambientato a Berlino dove seguiamo le vicende di Daniel, un giovane gay che si innamora di un uomo di nome Clemens con il quale cercherà di vivere una relazione sentimentale imitando un qualunque matrimonio borghese, ma solo dopo quattro mesi la loro relazione finirà perché Daniel si innamorerà di un uomo più anziano e ricco, quest'ultimo però ben presto lo tradirà. Daniel si ritroverà solo, immerso nella sottocultura gay e la violenza che ne consegue a causa dell'emarginazione, si abbandonerà ad una vita promiscua e ad esperienze sessuali sempre più fugaci come quelle tra i parchi notturni e i bagni pubblici, fin quando non incontrerà Paul, che lo porterà in un appartamento condiviso con altri gay. Nel film i dialoghi sono insonorizzati, perché ci sono delle voci narranti che commentano le scene in modo critico e provocatorio, alcune di queste appartengono ai personaggi del film come se fosse il flusso della loro coscienza a parlarci...» (vaevedi.it)


Il quinto sigillo (1976)
diretto da Zoltán Fábri

«Il film è ispirato all'omonimo romanzo del 1963 di Ferenc Sánta. Siamo a Budapest nell'Ungheria del 1944, dominata dal Partito delle Croci Frecciate, un gruppo di amici composto da Gyurica, un cinico orologiaio, Király, un venditore ambulante di libri e Kovacs, un umile falegname, si riuniscono ogni sera in un tavolo nel bar di Bèla, un uomo rude che sa il fatto suo, per scaldarsi dalle oscure giornate invernali. Király rivela a tutti di essersi procurato della carne di vitello vendendo dell'arte romanica e alcune opere di Bosch, proprio di quest'ultimo si intrufolano sinistramente nel montaggio del film, le sue immagini oniriche e demoniache mentre gli amici conversano tra loro, scherzando sulla misera della loro vita. Poco dopo nel bar fa misteriosamente irruzione Károly Keszei, un uomo zoppo che è tornato dal fronte, il gruppetto lo invita ad unirsi al loro tavolo. L'uomo rivela di essere un fotografo artistico e specula sul ruolo della sua professione, qui la conversazione prende una strada sempre più filosofica fintanto Gyurica, pone una domanda piuttosto strana al gruppo. Li chiede di immaginare di morire a breve e di avere la possibilità di rinascere, ma di essere obbligati a scegliere una delle due vite: quella dello schiavo Gyugyu che subisce supplizi e torture di ogni sorta, o quella del suo padrone Tomóceusz Katatiki che si macchia di crimini efferati senza provare alcun rimorso per tutta la vita. L'inquietante domanda scuoterà tutti, insinuandosi nella loro coscienza per tutta la notte. Costantemente pervaso di un'atmosfera tetra e claustrofobica, dove la stessa macchina da presa rimane imprigionata negli interni guardando con timore gli esterni e dipinto da una fotografia livida illuminata pallidamente da lampadine, nulla di queste suggestive ed efficaci scelte stilistiche può prepararci al brutale finale... » (vaevedi.it)


L'amour violé (1978)
diretto da Yannick Bellon

«Non può sorprendere che il nome di Yannick Bellon venga citato da Céline Sciamma tra le sue registe preferite in una recente intervista contenuta nel libro "Architetture del desiderio", pubblicato nel 2021 (a cura di Federica Fabbiani e Chiara Zanini). Yannick Bellon è stata una montatrice, regista e sceneggiatrice francese che attraverso i suoi film ha esplorato diverse problematiche della società patriarcale offrendo delle importanti intuizioni femministe. Inizialmente dedicò la sua attività ai documentari e solo nel 1972, quando fondò la sua società di produzione Les Films de l'Équinoxe, diresse il suo primo lungometraggio di finzione "Quelque part quelqu'un", ispirato alla sua relazione con il poeta Henry Magnan. Ma il suo film più noto e che ha suscitato più scalpore è "L'amour violé" girato nel 1978 e ambientato a Grenoble. Racconta di Nicole, una giovane infermiera (interpretata da Nathalie Nell), che durante un'uscita in bicicletta nel pomeriggio viene aggredita verbalmente da due uomini in viaggio con un furgone e successivamente rapita per essere brutalmente stuprata tutta la notte da loro con un gruppo di amici. Un film crudo e sconvolgente non solo per la scena citata, ma per la rappresentazione della violenza e le sue ripercussioni sul piano psicologico e sociale in modo così autentico e dettagliato, mai superficiale e gratuito, strappando il velo di ipocrisia che copre la tranquilla cittadina con i suoi bellissimi paesaggi che fanno da sfondo alla storia...» (vaevedi.it)


Giulia e il mostro (1978)
diretto da Juraj Herz

«Walt Disney ma questa è probabilmente la migliore trasposizione cinematografica della fiaba "La Bella e la Bestia". Juraj Herz, il genio visionario de "L'uomo che bruciava i cadaveri", eredita in superficie gli stessi personaggi e ambientazioni della fiaba tradizionale ma vi dà una lettura psicologica del tutto inedita e più matura. La sua Bella si chiama Julie (Zdena Studenková), un nome che deriva dal latino Giulia e che significa "sacro a Giove" o "discendente di Giove", Giove è la divinità legata al principio di crescita ed espansione dell'Io, poiché il suo compito è di spingerlo ad avventurarsi verso il mondo esterno. La Julie nel film di Herz non ha intenzione di sposarsi come le sue sorelle perché preferisce rimanere con il padre, ma non appena quest'ultimo le racconta del patto stipulato con la Bestia (avendo strappato una rosa dal suo proibito giardino, l'uomo dovrà consegnarle una delle sue figlie in sposa altrimenti verrà ucciso), non pensa due volte ad abbandonare la sua casa per dirigersi verso il misterioso castello. Una volta lì, la Bestia le vieterà di guardare il suo corpo e poi la drogherà portandola in un letto-lapide dove sognerà la Bestia sotto forma di un bellissimo principe, risvegliando in lei il desiderio romantico e sessuale. La sua permanenza nel castello non sarà un assoggettamento, ma la scoperta di nuovi sentimenti, seppur conflittuali, e di un nuovo status visto che la Bestia la dichiarerà padrona dell'intera dimora. Allo stesso modo la Bestia innamorandosi di lei, comincerà a fare i conti con quella vulnerabile parte umana nascosta ancora dentro se stesso e che ha tentato di seppellire per molto tempo...» (vaevedi.it)


The Animals Film (1981)
diretto da Myriam Alaux e Victor Schonfeld

«Questo documentario potremmo definirlo il vero padre di "Earthlings" e "Dominion". Si tratta di un'indagine a 360 gradi dell'impiego degli animali e il suo conseguente sfruttamento nelle industrie alimentari e farmaceutiche, nella ricerca scientifica e militare, nell'intrattenimento, nel mondo dell'addomesticamento, nella caccia e nello sport. All'epoca si filmava con la pellicola, nessun supporto digitale, possiamo quindi solo immaginare quanto sia stato difficile avere le autorizzazioni per piazzare una macchina da presa all'interno degli allevamenti e testimoniare il processo di produzione. Il film è narrato dall'attrice Julie Christie (vegetariana e da sempre impegnata per i diritti degli animali) e incorpora efficacemente filmati di repertorio governativi segreti, cinegiornali, interviste, cartoni animati, ed estratti da film di propaganda. Nonostante l'enorme quantità di temi affrontati, è un lavoro completo, denso di contenuti, mai dispersivi, strettamente connessi tra loro e montati con maestria. Risultano particolarmente duri i filmati sulla sperimentazione animale nel campo medico e militare che il documentario mostra in gran parte nella seconda parte, per citarne solo due che lasciano abbastanza interdetti: un folle test sulle scimmie costrette a correre sui tapis roulat con elettroshock mentre venivano irradiate fino all'esaurimento come modello per la resistenza dei soldati in una guerra nucleare o il test noto come l'Arca Atomica che ebbe come fine quello di osservare gli effetti delle esplosioni nucleari sui corpi di diversi animali come pecore e cavalli, nonostante gli effetti fossero già stati ampiamente documentati dai sopravvissuti umani dopo le esplosioni di Hiroshima e Nagasaki!» (vaevedi.it)


Cabra Marcado Para Morrer (1984)
diretto da Eduardo Coutinho

«Questo documentario ha una storia davvero unica e travagliata. Come ci viene spiegato all'inizio del film, in origine fu ideato nel 1964 dal Centro Popular de Cultura (CPC) e il Movimento de Cultura Popular de Pernambucoff, come un lungometraggio sulla vita e la morte di João Pedro Teixeira, un leader di una delle più importanti leghe contadine di Paraíba, che fu assassinato per ordine dei proprietari terrieri locali nel 1962. Il progetto fu affidato alla regia di Eduardo Coutinho che decise di lasciar interpretare i personaggi della storia dalle stesse persone che l'avevano vissuta da vicino, quindi al film presero parte Elizabeth Teixeira, la vedova di João Pedro, e altri agricoltori della lega contadina. Una scelta provocatoria, che avrebbe donato una dura autenticità al film. Le riprese iniziarono nel 1964, ma dopo 35 giorni e con circa la metà del film completato, la produzione fu interrotta dalla dittatura militare brasiliana, che arrestò alcuni membri del cast e della troupe e confiscò la sceneggiatura e diversi filmati. Il governo tentò di confiscare l'intera pellicola del film, ma fallì perché gran parte del materiale girato fu inviato a Rio per essere processato. La famiglia Teixeira nel frattempo subì una persecuzione senza eguali, uno dei figli di Elizabeth scomparve misteriosamente, in seguito lei si vide costretta a fuggire e a dividersi dai suoi figli per proteggerli, e come se non bastasse una delle sue figlie non resse queste esperienze traumatiche e si suicidò.Vent'anni dopo Coutinho torna sul luogo degli avvenimenti, decide di raccogliere e montare tutto il materiale filmico sopravvissuto e di mostrarlo senza tagli alla popolazione locale e agli stessi interpreti...» (vaevedi.it)


Santa Sangre (1989)
diretto da Alejandro Jodorowsky

«L'idea del soggetto nacque da Roberto Leoni mentre lavorava in un biblioteca di un ospedale psichiatrico e studiava casi sul disturbo dissociativo di identità, così propose l'idea al produttore Carlo Argento, che l'apprezzò subito e aggiunse anche qualcosa alla storia. Dopo decisero che il regista più adatto a rappresentarla poteva essere solo Alejandro Jodorowsky. Quest'ultimo accettò e collaborò con Leoni per riadattare il soggetto secondo la sua immaginazione, ispirandosi anche al caso del noto serial killer messicano Gregorio Cárdenas Hernández. [...] "Santa Sangre" è un'opera di struggente poesia, la cui visione potrebbe essere paragonata ad uno strano incubo agrodolce il cui risveglio ci riporta ad un'immediata presa di coscienza del proprio intimo essere, finendo in lacrime per la bellezza di ciò che ci viene rivelato. Il film, lungo questo viaggio oscuro, sembra prenderci per mano e dirci che in fondo ad ogni male non c'è niente che l'amore non possa guarire, anche quando dell'amore ci è rimasta solo la nostalgia del cuore. Magnificamente impersonificato nei ruoli è il cast, spicca la bravura di Axel Jodorowsky, figlio del regista, nel ruolo di Fenix, arrivano al cuore le musiche di Simon Boswell e impressivi sono i costumi creati da Tolita Figueroa.» (vaevedi.it)


Walking Down the Place of a Skull (1992)
diretto da Isaak Fridberg

«Il film ha come protagonisti una giovane coppia (interpretata dagli attori Dmitriy Pevtsov e Olga Drozdova), di cui non sapremo mai i nomi, che ha deciso di prendersi una pausa dalla vita urbana e rilassarsi nella natura, progettano così di affittare per un mese una camera nella fattoria della nonna di lui. L'anziana li consiglia di andare nella fattoria dei tartari poco distante da lì e che è abituata ad accogliere i turisti, la coppia si incammina nel bosco, ma il percorso risulta più lungo del previsto così arrivata la sera, stanca, si trova costretta a passare la notte in una vecchia casa abbandonata nel bosco. Il mattino seguente cominceranno a manifestarsi degli strani eventi inspiegabili che impediranno alla coppia di abbandonare il posto. Già dai primi minuti quello che colpisce immediatamente è la grande atmosfera del film, dosata magistralmente da una fotografia onirica di luci soavi ma ombre dure, da un'ambientazione boschiva densa che disorienta e da una colonna sonora ossessiva e inquietante composta dal genio Artemiy Artemiev (figlio di Edward Artemiev conosciuto per la sua collaborazione con Andrej Tarkovskij). Ma la cifra stilistica è ridotta all'essenziale, non c'è molto trucco, nessun effetto speciale, l'orrore è alimentato dall'ambiguità delle situazioni che vivono i personaggi e dall'assenza di risposte. La suspence arriva al suo apice ogni qual volta entra in scena un uomo misterioso, interpretato da uno spaventoso Boris Plotnikov (anche se si fa fatica a crederlo è lo stesso de L'Ascesa di Larisa Shepitko), anch'esso anonimo, da alcuni critici è stato identificato come un Demiurgo...» (vaevedi.it)


Nous, les enfants du xxème siècle (1994)
di Vitali Kanevsky 

«Che la vita dei bambini nei Paesi dell'ex URSS non fosse affatto facile, l'avevamo già visto nel crudo documentario "Children Underground" diretto da Edet Belzberg nel 2001, ma forse non tutti sanno che ben sette anni prima, il regista russo Vitali Kanevsky se n'era occupato in "Nous, les enfants du xxème siècle" (Noi i bambini del XX secolo), un film realizzato grazie alla co-produzione della Francia e che oscilla tra documentario e finzione, dove è lo stesso regista ad intervistare i bambini per le strade di San Pietroburgo, molti dei quali già piccoli criminali ed emarginati dalla società, completamente abbandonati a se stessi. Ma la ricerca di Kanevsky non si ferma sulle strade, entra con occhio indiscreto anche nelle prigioni, dove interroga giovani responsabili persino di omicidi, qui ritroviamo sorprendentemente il giovane attore Pavel Nazarov, che ha collaborato con il regista nei suoi due film più noti e premiati a Cannes "Sta' fermo muori e resuscita" e "Una vita indipendente", la sua comparsa è probabilmente il momento più emozionante del documentario e che raggiunge il suo picco quando a fargli visita è l'attrice Dinara Drukarova, con la quale ricorda i bei momenti passati insieme e scambia un bellissimo dialogo esistenziale. La sua presenza femminea, come in tutti i film di Kanevsky, diventa simbolica, portatrice di un'energia salvifica...» (vaevedi.it)


I Do Not Care If We Go Down in History as Barbarians (2018)
diretto da Radu Jude

«"Non mi importa se passeremo alla storia come barbari", queste furono le parole del ministro rumeno filonazista Mihai Antonescu pronunciate l'8 Luglio del 1941, dopo che si fece promotore in prima persona della Pogrom di Iași, avvenuta nello Giugno dello stesso anno, dando il via libera alla persecuzione, la deportazione e lo sterminio di tutti gli ebrei rumeni, impedendogli anche di emigrare dalla loro terra e annullando la protezione diplomatica che questi avevano in Paesi stranieri caduti sotto la dominazione nazista. Ad oggi si stima che 380.000 ebrei furono uccisi dai rumeni, come sottolinea lo storico Raul Hilberg, un numero così alto da rendere la Romania il Paese che ne ha uccisi di più subito dopo la Germania Nazista. Questa terribile memoria storica tenuta tutt'ora all'oscuro o comunque negata dalla gran parte della popolazione rumena, diviene il soggetto del film di Radu Jude che è un'opera a metà tra la finzione della messa in scena e il realismo del documentario. Il film si apre con l'immagine dell'attrice Iana Jacob davanti allo spiazzante sfondo di cingolati e varie armi d’epoca in un museo, che si presenta allo spettatore e descrive il ruolo che andrà interpretare nel film, quello di Mariana Marim, una regista teatrale che vuole mettere in scena un reenactment intitolato "Morte di una nazione" in una piazza di Bucarest (e qui il riferimento all'omonimo film di Griffith è volutamente provocatorio)...» (vaevedi.it)

0 Commenti:

Posta un commento


Post più popolari